La comunicazione politica


È un modello di comunicazione molto attuale, molto letta e molto studiata, nella quale c’è tutta una tecnica e una questione di interpretazione. Quando parliamo di comunicazione politica parliamo della creazione del consenso. È un ambiente in evoluzione dove c’è la possibilità di trovare degli sbocchi professionali.

Cos’è la comunicazione politica?

È la ricerca di un risultato che è il consenso. Se io faccio politica credo di poter rappresentare degli interessi, che possono essere quelli di una comunità, di un’associazione, etc. È soddisfazione del ricevente e quindi di rimbalzo la delega del ricevente all’emittente di rappresentarlo. È esattamente qu

ello che succede nel mandato elettorale. Questo tipo di comunicazione ha bisogno di una serie di intermediari.

La comunicazione politica sottende un lavoro di informazione dedicata, il marketing politico invece non è strettamente connesso alla logica della parola, dell’evolvere di un processo intellettuale, il marketing è estremamente emozionale.

La comunicazione politica si può fare in molti modi, bisogna saper parlare, scrivere, essere informati, saper convincere. Sono queste le caratteristiche essenziali di un leader. Se fatta bene, la politica è un mestiere difficile. Le regole di base del fare politica sono tutte uguali, poi ognuno ha le proprie declinazioni individuali ma il tappeto iniziale è uguale per tutti. Il mondo del giornalismo si incrocia sempre con il mondo della politica, la politica è convinta di controllare il giornalismo e il giornalismo è convinto di controllare la politica. Ma nella realtà non è sempre così, a volte accade ma non è la regola di fondo.

Quanto si parla di comunicazione politica gli esperti usano sempre dei modelli di riferimento. Noi prenderemo in considerazioni esponenti politici al di fuori dell’ambito italiano:

  • · Obama ha vinto e quando si parla di comunicazione politica vincere è più importante che perdere. La politica o ti farà vincere o ti farà perdere. Obama è un discreto comunicatore, abbastanza ripetitivo ma oggettivamente difficile da criticare. Intorno a lui gira un sistema di comunicazione che ha avuto prima di lui anche i precedenti presidenti: Bush, Clinton, e così via.
  • · Il più abile comunicatore europeo nell’uso della televisione fu De Gaulle, un militare. Non è un caso infatti i militari sanno fare comunicazione benissimo.

Per essere eletti bisogna essere dei leader e per essere leader bisogna saper comunicare in modo innovativo.

Bisogna avere intorno a sè un’organizzazione. Ce ne sono di vari tipi, in America c’è un tipo di organizzazione più complessa ma più lineare perché c’è da molto tempo e perché offre tutta una serie di opportunità di lavoro. C’è bisogno di persone cha sappiano mobilitare altre persone, persone che sappiano far propaganda, persone che sanno ricercare materiali, persone che vanno a guardare cosa fanno gli avversari, etc. Sono tutte strettamente funzionali grazie alla parola e in questo le prime tecnologie hanno un ruolo fondamentale. Obama non è stato il primo a vincere grazie a internet, anche se è un’opinione comune. Il primo che le ha vinte è stato Gorge W. Bush. Più del leader conta l’organizzazione che sta dietro di lui. I consiglieri della politica sono sempre gli stessi, anche se i partiti che guidano il governo americano cambiano, perché è un mestiere, è una professione.

Chi sono le persone che fanno questa attività?

Consiglieri, comunicatori, attivisti, analisti, tecnici informatici/spie.

Cos’è la prima cosa che devo fare in politica?

Demolire l’avversario e per farlo si ha bisogno di informazioni. La regola numero uno è dunque studiare l’avversario, viaggiare dentro i documenti, internet per questo può essere utile. Il confine fra lecito e illecito è molto labile. Negli USA puoi essere scorretto, cattivissimo ma non lo puoi mai fare al di fuori della legge perché la popolazione è protestanti e i protestanti non amano le bugie, preferiscono qualcuno che dice sono disonesto piuttosto che qualcuno che mente. Clinton, per esempio, ha perso le successive elezioni non per quello che ha fatto ma perché ha mentito dicendo che non era vero. In Italia sono state usate molte volte le intercettazione per demolire politicamente l’avversario, questo significa cadere nell’ambito dello scorretto, negli Stati Uniti non potrebbe succedere perché lì si ha bisogno di prove e non solo di cose sentite dire per telefono.

Drude report fu il blog che tirò fuori per primo sulla base delle prove la relazione fra Clinton e la Lewinsky. Non era una testata giornalistica famosa ma un blog. Negli stati uniti molti blog sono più letti di alcune testate giornalistiche.

Obama ha convinto ad andare alla casa bianca il General Menager di Google, e insieme a lui ci sono altre 160 persone che si occupano di comunicazione, ci sono i watcher, per esempio, il cui mestiere è navigare nella rete per sapere in tempo reale cosa acccade. Obama durante la campagna elettorale ha creato una squadra che ha fatto un eccellente quadro del Paese, poi dopo aver vinto è stato bravo perché ha continuato ad usare lo stesso metodo, il coinvolgimento delle persone. Maggiori informazioni ti do, maggiori informazioni avrò. In Italia siamo alla preistoria, non ci sono analisti, non ci sono watcher, non c’è nessuno che fa questo lavoro.

Ogni paese è diverso ma ogni paese è condizionato dalla comunicazione o dalla non-comunicazione. La Merkel in Germania, per esempio, ha scelto di non comunicare con il web perché nel Paese c’è un grosso digital divide tra Germania dell’est e Germania dell’ovest.

La situazione della comunicazione politica in Italia non deve essere condizionata dall’idea che sia basata su un sistema antidemocratico perché è tecnicamente sbagliato. La comunicazione politica è vincente solo quando il consenso è coltivato, il consenso è difficile da far rimanere alto.

Perché in Italia la comunicazione di centro-destra è stata migliore di quella del centro-sinistra?

Per vari motivi: ha un mandato più identificativo, è stratificata, è positiva, è codificabile (parole chiave che sono da sempre le stesse, es: la lega vince perché usasempre la parola federalismo, caricandolo di positività e trasformandolo in una bandiera). Il messaggio chiaro vince perché deve rimanere all’interno di tutto il corso della giornata di una persona perché la politica non è per forza al centro della giornata delle persone (come pensano, invece, molti esponenti di sinistra che lanciano troppi messaggi al giorno, non contando però che nella mente delle persone non c’è spazio per tanti messaggi che ogni giorno provengono dall’ambiente politico). Non è importante che il messaggio sia semplice, ma che sia chiaro, emozionale e positivo. La ripetizione deve essere in forma crescente ma non ridontante. La comunicazione del centro-sinistra è autoreferenziale, è calata dall’alto senza che possa permettersi di essere calata dall’alto, dall’altra parte, invece, abbiamo una comunicazione suadente di una persona che si mette allo stesso livello della gente.

Alcune figure della comunicazione politica:

Il portavoce: la Casa Bianca ha una dozzina di portavoce, i giornalisti in America nelle conferenze stampa della White House hanno un posto a sedere stabilito e il presidente sa già chi farà le domande e quindi può chiamare i giornalisti per nome mentre gli danno la parola. È tutto manipolato però fa un certo effetto ed è questo quello che conta. I portavoce pogono in modo assolutamente referenziale il messaggio del leader, dell’azienda. Hanno la delega a rappresentare. Sanno come interpretare il messaggio ma non hanno la valenza politica per poterlo fare: il leader può sempre dire che ha sbagliato a interpretare.

Gli spin doctor: sono i consiglieri strategici, guardano cosa sta accadendo e vedono, studiamo come ci si può muovere di conseguenza, cercano di capire dove c’è la possibilità di intervenire, o di non intervenire. La comunicazione, l’immagine è il centro della loro attività. Questa figura professionale deve saper pensare a come comunicano gli altri prima di saper comunicare lui stesso. È un lavoro fisicamente faticoso. Sono figure sempre più necessarie.

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Google cede e rende pubblici gli introiti derivanti dalla pubblicità

Google ha annunciato che destina agli editori il 68% di quanto guadagna con il servizio AdSense per i contenuti, e il 51% di quanto invece viene raccolto con AdSense attraverso il search: con un post, l’azienda di Mountain View fa luce su uno dei punti oscuri che vi erano sui suoi affari e che ha portato l'antitrust italiano ad interessarsi delle sue attività.

Dalla pubblicità pubblicata direttamente nel proprio motore di ricerca o negli altri suoi servizi, Google ha incassato nell'ultimo anno 15,6 miliardi di dollari, mentre gli introiti generati da altri siti sono di 7,2 miliardi.

La percentuale di AdSense per i contenuti destinata agli editori, gli introiti generati dagli annunci che essi ospitano nelle proprie pagine web, è rimasta la stessa dal 2003, quella per la ricerca, i guadagni derivanti dall'ospitare il box di ricerca di Google, dal 2005, quando è stata incrementata. Google ha affermato di non aver intenzione prossimamente di modificare tali percentuali, pur affermando che non è detto che resteranno in futuro sempre immutate.

L’azienda ha motivato il cambio di rotta richiamando lo "spirito di trasparenza" che le è proprio, ma appare evidente l'influenza avuta dalla necessità di rispondere alle accuse dell'antitrust italiana che chiedeva maggiore chiarezza sul servizio AdSense.

Nonostante la divulgazione delle percentuali, restano ancora alcune questioni irrisolte: non si conoscono ancora le quote relative ad AdSense per il mobile, per i feed e per i giochi, o quelle relative al nuovo servizio di pubblicità di YouTube. Tutti servizi che, afferma, Google sono nuovi e hanno costi relativi e forme in continua evoluzione.

Secondo alcuni, inoltre, Google prenderebbe un 15% per costi di servizio "a monte", nel momento in cui contratta con grandi editori: tuttavia l’azienda ha smentito tale ipotesi, e peraltro nel caso degli editori più grandi i contratti non sono standardizzati e dipendono dalla singola contrattazione.

Nel presentare questo impegno, Google ha inoltre ribadito l'intenzione di mantenere almeno per i prossimi tre anni i meccanismi che permettono ai siti di informazione indicizzati in Google News di tenere sotto controllo le proprie notizie. In particolare, l'aggregatore di notizie di Google si impegna ad avere un indice dedicato, in modo che chi chiede la cancellazione da Google News non scompaia anche da motore di ricerca generale. Inoltre, il motore di ricerca continuerà a offrire la possibilità di escludere singole pagine da Google News attraverso il suo centro assistenza. "Siamo felici della collaborazione che si è instaurata con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e con gli editori nell'affrontare le questioni da loro sollevate", si legge in una nota di Google.



La Fieg per ora non commenta, ma difficilmente le concessioni odierne di Google potranno soddisfare in pieno gli editori. Che il colosso di Mountain View si adegui alle obiezioni dell'antitrust è infatti un successo di immagine significativo, che però non influisce sull'obiezione principale degli editori: e cioè che Google si arricchisca, attraverso la pubblicità, grazie a contenuti creati da altri e senza condividere i ricavi.



Entro trenta giorni, chi ha osservazioni sull'argomento potrà sottoporle all'authority, che esprimerà la sua valutazione entro il prossimo 30 settembre.

Tutti fuori da Facebook: la rivolta per la difesa della privacy

Il prossimo 31 maggio tutti fuori da Facebook! Quitfacebookday.com, un sito internet ha invitato tutti gli utenti del noto social network ha cancellare il proprio account da Facebook il 31 maggio per protestare contro la gestione non certo sicura dei dati personali. Secondo il sito Su Facebook non ci sono solo amici ma anche nemici che molto spesso utilizzano Facebook per altri motivi violando la privacy degli utenti.

Questo sito internet è nato appositamente per protestare contro questa cattiva gestione dei dati degli utenti invitando tutti ad abbandonare il social network. Sono già più di dodicimila gli iscritti che hanno dato la loro adesione confermando di eliminare il proprio profilo da Facebook e indicando il proprio nome su Quitfacebookday.com. Questa è una protesta per sensibilizzare coloro che non sanno a cosa vanno incontro usando Facebook visto che il social network ha avuto molti avvertimenti per via della privacy degli utenti che più volte è stata violata.

Il sito spiega: “Facebook vi lascia la scelta di gestire i vostri dati personali, ma non è una giusta decisione. Si tratta di un compito troppo complesso, delicato e difficile da poter gestire per un utente, e Facebook lo rende ancora più complicato. Noi pensiamo che Facebook non abbia molto rispetto delle vostre informazioni riservate”, quindi invita tutti ad una riflessione e aggiunge: “Lasciare Facebook è come smettere di fumare: non è un passo semplice, ma la nostra iniziativa potrebbe aiutarvi.”

Quando a gennaio Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, ha decretato la “fine dell’era della privacy” e poi ancora un mese fa, quando ha deciso di rendere pubblici in rete tutti i dati personali dei suoi utenti che non invocano esplicitamente e tempestivamente il diritto alla riservatezza, Zuckerberg era convinto che la filosofia della condivisione fosse penetrata nel mondo di Internet fino al punto di far passare quasi inosservato questo suo ultimo colpo di mano. Invece gli americani, la cui sensibilità per la privacy è sicuramente inferiore a quella degli europei, hanno reagito come ad una scossa elettrica, riscoprendo improvvisamente il valore della riservatezza.

Guru della rete e blogger sono stati i primi a denunciare che Facebook è stata spinta su questa strada da obiettivi di profitto, più che dalla logica «social» del suo servizio. Poi è arrivato l’intervento dei politici e delle authority. Nelle ultime settimane Zuckerberg ha dovuto preoccuparsi della sollevazione del Congresso Usa e delle authority per la tutela dei dati personali di mezzo mondo, Europa in testa, che gli chiedono di fare marcia indietro. Intanto quattro studenti della New York University hanno raccolto in pochi giorni 150 mila dollari per il loro “progetto Diaspora” , un nuovo social network che nascerà in autunno e che promette di lasciare agli utenti il pieno controllo dei loro dati personali.

Così anche dai vari angoli della rete arrivano gli inviti alla rivolta, ad abbandonare la rete sociale: il primo appello l’ha lanciato MoveOn.org, l’associazioni dei militanti della sinistra radicale Usa. Poi è toccato alla campagna di FacebookProtest.com che chiede agli internauti di abbandonare la rete di Zuckerberg entro il 6 giugno. Ora invece è la volta dell’offensiva di QuitFacebookDay.com. Sono numeri che non dovrebbero preoccupare più di tanto una società che nel solo mese di maggio ha già arruolato altri 12 milioni di utenti in tutto il mondo? Per adesso, però, Zuckerberg non molla: la possibilità degli utenti di difendere la propria privacy su Facebook rimane legata a laboriose procedure indicate da un regolamento che, come nota ironicamente il New York Times, è più lungo della Costituzione americana. Ieri, però, un portavoce ha detto che la società sta studiando a fondo il problema. Intanto sul mercato arrivano le applicazioni di softwaristi indipendenti che semplificano le procedure di tutela della privacy: per ora Facebook non le avalla. Ma nemmeno le condanna.

Voi cosa ne pensate?

Le molteplici "facce" di Google

Cos'è Google?

La maggior parte delle persone a cui si potrebbe porre questa domanda risponderebbero: “E’ un motore di ricerca”. In realtà Google non è un motore di ricerca o meglio non è solo un motore di ricerca. Google è una multinazionale che fornisce servizi attraverso internet per internet e lo fa ormai su tutti i livelli. Il motore di ricerca è solo una delle sue tante facciate.

La parte visibile di Google è sicuramente gratuita, mentre la parte che riguarda i servizi, il controllo del web e la gestione degli spazi pubblicitari è nascosta e a pagamento.

La parola Google deriva da googol termine coniato da Milton Sirrotta (nipote del matematico statunitense Edward Kasner) nel 1938, per riferirsi al numero rappresentato da 1 seguito da 100 zeri. L'uso della parola fatto da Google riflette la volontà della società di organizzare l'immensa quantità di informazioni disponibili sul Web. Il termine viene inoltre associato con un gioco di parole all'inglese goggles, binocolo, appunto perché il motore permette di "guardare da vicino" la rete.

A causa della sua popolarità, nella lingua inglese è nato il verbo to google, col significato di "fare una ricerca sul web", in Italia per esempio quando si vuole fare una ricerca sul web si dice spesso “La cerco su Google”! . Il dominio assoluto di Google a livello mondiale rappresenta qualcosa di clamoroso.

Ma come è nato Google?

La storia di Google inizia nel settembre 1998, quando due studenti di Stanford, Larry Page e Sergey Brin, appassionati di matematica, a soli 25 anni fondarono Google. Pocodopo aver fondato l’azienda, per mancanza dei fondi necessari per l’acquisto di nuovi PC e di altro materiale, cercarono di venderla per un milione di dollari a diverse società finanziarie, oltre che a diretti concorrenti come Altavista e Yahoo, ottenendo solo dei rifiuti. Pur essendo tutti concordi nel ritenere innovativo il metodo messo a punto dai due studenti per ottenere con il loro motore di ricerca risultati più pertinenti rispetto ai concorrenti, non ritenevano che l’azienda valesse così tanto. A seguito di questi rifiuti, Larry e Sergey furono costretti ad abbandonare l’università di Stanford per dedicarsi completamente alla loro azienda.

Ma che cosa aveva (e cosa ha) di così innovativo Google rispetto agli altri motori di ricerca, alcuni dei quali (Altavista e Yahoo) dominavano a quei tempi il mercato? Lo scopo dei due fondatori era quello di trovare un modo di catalogare tutte le informazioni presenti in internet e renderle rapidamente e facilmente disponibilia tutti. Intendevano risolvere un problema sentito molto da loro e dai loro colleghi all’università: la difficoltà a reperire facilmente le informazioni presenti in quasi un miliardo di pagine presenti in internet (oggi sono diventate oltre 8 miliardi).

All’inizio non intendevano diventare imprenditori, avevano un futuro di docenti universitari, come lo erano i loro padri. Poi la mancanza di soldi li ha costretti ad occuparsi a tempo pieno del loro “giocattolo”.

L’invenzione più innovativa è stata sicuramente il PageRank, un metodo per determinare l’importanza di una pagina web. Mentre i motori esistenti, per indicizzare e posizionare i siti web nei loro database, si limitavano a contare le ricorrenze, nel testo delle pagine, dei termini cercati dagli utenti, e quindi mostravano ai primi posti siti web non sempre pertinenti con le informazioni desiderate, Page e Brin ebbero l’idea di verificare e contare non solo le ripetizioni delle parole ma anche i link che provenivano da altri siti e che puntavano ad una determinata pagina. Il loro ragionamento era semplice: se un certo sito è citato e consigliato da molti altri significa che ha dei contenuti interessanti e quindi è giusto farlo vedere prima di altri. In realtà il metodo adottato dai due studenti per calcolare il Page Rank è molto più complesso ed articolato; non si limita a contare i link ma tiene conto anche della “qualità” dei contenuti e dell’importanza dei siti da cui provengono i link. Ad esempio, se il sito della Microsoft consiglia o cita il mio sito, lo stesso acquista agli occhi di Google un valore maggiore rispetto al sito di un concorrente consigliato da un’azienda sconosciuta, e quindi avrà un PageRank più elevato del concorrente. Ci sono poi altri fattori che contribuiscono a determinare il PageRank, come l’anzianità del sito, il numero dei visitatori, etc.

Gli utenti, usando Google, si rendevano conto che era più facile e richiedeva meno tempo trovare le informazioni desiderate e pertanto abbandonavano gli altri motori e consigliavano agli amici e conoscenti di fare altrettanto.

La crescita esponenziale di Google all’inizio è avvenuta principalmente grazie al passa parola, l’azienda non ha mai fatto pubblicità. Oggi Google reperisce e gestisce le informazioni presenti su internet grazie ad una propria rete composta da oltre 100.000 Pc. Una potenza di calcolo che nessuna altra azienda al mondo possiede.

Google ha nel suo database oltre 6 miliardi di pagine web e ogni giorno i suoi utenti effettuano 200 milioni di ricerche in oltre 80 lingue. Attualmente è in atto il più ambizioso dei progetti mai attuati: la digitalizzazione dei volumi di intere biblioteche al fine di rendere il sapere umano alla portata di tutti (Google Books).

Il pacchetto azionario di Google, quotata in borsa dall’agosto 2004, vale oggi oltre 100 miliardi di dollari (più di Ford e General Motors messe assieme) e il patrimonio personale di Larry Page e Sergey Brin supera i 10 miliardi di dollari a testa.

Ma da dove provengono questi soldi, considerato che l’utilizzo di Google è gratuito? La risposta è semplice: Google non fa pubblicità a se stesso ma incassa molto per la pubblicità che fa agli altri.

Un’idee brillante di Google è stata la pubblicità contestuale, o mirata: se state cercando ad esempio “noleggio macchine per caffè” vedrete sulla parte destra della pagina dei risultati alcuni link pubblicitari di aziende che noleggiano macchine per caffè o che vendono cialde di caffè. Le probabilità che questa pubblicità dia fastidio sono quindi minime e nello stesso tempo, le probabilità che qualcuno clicchi su questi link sono alte.

Questo consente a Google di far accettare ai suoi inserzionisti di pagare un prezzo più elevato in base ai click sulla pagina rispetto a ciò che pagherebbero per la stessa pubblicità inserita su siti o portali che parlano di calcio, di libri, di corsi, di telefonini o di cronaca.

Inoltre questa pubblicità, se l’inserzionista lo chiede, può essere localizzata per regione o città. Ad esempio, se una azienda vuole pubblicizzare i suoi corsi di formazione ma è interessata solo agli utenti di Brescia, può chiedere a Google di far apparire il suo link solo quando la ricerca di corsi di formazione viene effettuata da utenti di Brescia. In questo modo è più probabile che chi clicca su questi link sia un potenziale cliente.

Google non si limita a pubblicare questi link pubblicitari contestuali sulle proprie pagine ma lo fa anche sulle pagine di centinaia di migliaia di siti partner (a cui riconosce una percentuale degli introiti): Google AdSense Partners.

  • AdSense: gli annunci pubblicitari sono annunci pertinenti con il sito, ovvero tematici, questo per dare al webmaster del sito maggiore probabilità che l'annuncio da lui inserito venga cliccato da parte degli utenti che lo visionano. Google quindi dopo aver scansionato il sito inserisce annunci tematici all'interno di esso.
  • AdWords: consente di inserire annunci sulle pagine dei risultati di Google.

AdSense dipende da AdWords perchè gli annunci che vengono pubblicati nei siti vengono presi dagli annunci che vengono inseriti in AdWords ovvero dagli annunci a pagamento.

Google offre un grande numero di servizi sia gratuiti che non. Oltre ai sopra citati servizi pubblicitari a pagamento abbiamo anche molti servizi gratuiti fra cui possiamo ricordare Gmail (il servizio mail di Google), Google Maps (per cercare strade e creare itinerari), il già citato Google Books, Blogger (piattaforma gratuita per creare un blog), Google Earth (con il quale si può sorvolare tutta la terra e osservare immagini satellitari, mappe, terreno ed edifici 3D), Google News (Servizio di ricerca che importa articoli e flash informativi da fonti web aggiornate) e tanti altri.

Inoltre Google è proprietario di altri siti fra cui il più popolare è sicuramente YouTube, un sito web che consente la condivisione di video tra i suoi utenti, sul quale vengono caricati circa 65.000 video al giorno.

Google ha recentemente ammesso di non aver fornito tutti i dati riguardo alle gestione degli spazi pubblicitari e per la prima volta rivelerà la percentuali di guadagni spettante agli affiliati al suo programma di inserzioni pubblicitarie AdSense. In questo modo spera di chiudere l’istruttoria aperta a sua carico presso l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato dopo la denuncia presentata dalla federazione italiana editori giornali (Fieg).

Inoltre sempre di pochi giorni fa è la notizia che per oltre tre anni, le automobili che Google manda in giro per fotografare le strade del mondo e renderle visibili a tutti su internet (Google Street View) hanno condotto inavvertitamente un'attività collaterale: i sensori delle automobili di Google hanno preso minuziosamente nota del nome e dell'indirizzo di tutti i modem wi-fi che incontravano sul loro percorso. E, nel fare questo, hanno anche intercettato e memorizzato (per errore) pezzi di comunicazioni non criptate che venivano scambiate attraverso questi dispositivi. E’ stata la stessa azienda a rendere nota la notizia spiegando che la raccolta e la memorizzazione di queste informazioni sono avvenute per sbaglio, e che i dati archiviati non sono mai stati usati e verranno cancellati. Ciò nonostante, si tratta di un nuovo duro colpo all'immagine della società su un fronte particolarmente sensibile come quello della privacy. Già poche settimane fa, il motore di ricerca era finito sul banco degli imputati per la gestione disinvolta dei dati degli utenti nel social network Buzz.

Nuova pubblicità della Apple: What is iPad?

Il futuro dell'informazione sul web: gratuita o a pagamento?

Il settore dell’editoria libraria sta cambiando, cambia soprattutto con l’ebook, o libro elettronico, un libro in formato elettronico (o meglio digitale) da poter sfogliare con appositi lettori come l’iPad, l’iPhone, etc. Sul mercato oramai gli ebook reader sono assolutamente concorrenziali anche nel prezzo e con una qualità di visione nettamente migliore rispetto al passato (si parla solo di due anni fa).

Internet è gratuito per definizione perché è una rete e la rete è stata creata per essere a disposizione di tutti e facilitare lo scambio informazioni. Aldilà del costo della connessione si discute sul fatto se i contenuti editoriali debbano essere a pagamento oppure no. Per ragioni soprattutto di crisi si è pensato di far pagare le notizie e in questo senso ci sono stati alcuni tentativi ma in generale siamo ancora lontani da una simile mossa. Però i supporti tecnologici non classici come per esempio gli smartphone hanno iniziato a fornire applicazioni a pagamento per leggere i quotidiani e lo stesso succederà con l’arrivo in Italia dell’iPad. Ma cosa sono gli smartphone e l'iPad (o più in generale i tablet computer)?

  • Smartphone: Uno smartphone è un dispositivo portatile che abbina funzionalità di gestione di dati personali e di telefono. La caratteristica più interessante degli smartphone è la possibilità di installarvi ulteriori programmi applicativi che aggiungono nuove funzionalità. Questi programmi possono essere sviluppati dal produttore dello smartphone, dallo stesso utilizzatore, o da terze parti. Oggi esistono smartphone con connessione GSM/GPRS/EDGE/UMTS e che utilizzano le tecnologie Bluethooth e Wi-fi per le comunicazioni con altri dispositivi. Lo smartphone al momento più famoso (e anche il più diffuso insieme al BlackBerry) è l’iPhone della Apple.
  • iPad: è un tablet computer prodotto da Apple in grado di riprodurre contenuti multimediali e di navigare su Internet. È inoltre retrocompatibile con le applicazioni per iPhone. Il dispositivo dispone di uno schermo da 9,7 pollici con retroilluminazione a Led e supporto al multi-touch. Tecnicamente cambia il modo di essere connessi con la realtà, l’iPad ha grande capacità di memoria, di fruibilità, è come portarsi dietro un computer, un televisore, una biblioteca. Non è piccolissimo ma nemmeno grande. Il problema non è nella fisicità del mezzo ma il problema è cosa si può fare con il mezzo

Il mercato a questo punto lo fanno i produttori delle macchine e non quelli dei contenuti. Tutti i giornali possono essere disponibili sul mercato a 0,79 euro o a 1,39 euro, il costo lo ha deciso Apple perché i giornali devono avere lo stesso prezzo di giochi, o altro.

Diminuiscono le vendita di giornali ma essi continuano comunque a crescere in modo forte e dunque ci troviamo di fronte alla necessità di far pagare qualcosa per poter sostenere i costi, per mantenere i bilanci in attivo. Fare un giornale costa, tutto ciò che è fisico con il web va in crisi, quindi l’informazione online dovrà in futuro essere pagata anche se poco. ( Per esempio il New York Times ha da poco annunciato che dal 1 gennaio 2011 sarà disponibile online solo a pagamento).

Il dibattito che c’è in questo momento è fra chi è a favore della gratuità delle informazioni su internet perché se lo spazio è gratuito, la rete è gratuita allora è necessario e giusto non far pagare i contenuti e fra chi invece sostiene l’idea che su internet le informazioni debbano essere a pagamento. Dal punto di vista editoriale la gratuità è un suicidio, la filosofia della gratuità è fondamentalmente giusta ma praticamente insostenibile.

I primi a sbagliare sono stati gli editori perché quando c’è stato il boom dello sviluppo del web sono stati estremamente generosi, si è sviluppata una corsa a dare l’informazione, una rincorsa dettata anche dalla cattiva percezione del fenomeno della crescita degli utenti (22 milioni di computer in Italia di cui solo 14 milioni navigano in internet). In questo momento la politica editoriale più diffusa fra i giornali online è quella di pubblicare l’edizione cartacea e soprattutto in Italia sul web troviamo anche gli aggiornamenti delle stesse notizie. E’ un problema sopratutto di modello produttivo, si produce troppa informazione online che porta così ad un affollamento sulla pagina web di articoli, immagini e video.

E' probabile anzi forse inevitabile, dunque, che in un prossimo futuro tutte le maggiori testate giornalistiche forniranno le notizie sul web solo a pagamento.

Come si sviluppa l’informazione online rispetto a quella contenuta nei giornali cartacei

Uno dei problemi dei giornali cartacei è che con alcuni tipi di notizie (come per esempio le elezioni che si sono tenute in Inghilterra pochi giorni fa) non riescono a stare al passo con i tempi, perché i giornali online danno l’informazione man mano che è disponibile, mentre invece i giornali chiudono alle 22-23 di sera, dopo di che il giornale va in stampa.

I giornali di carta si sono allora concentrati sull’approfondimento ma quando un sito internet è fatto bene non possiamo non notare che c’è anche l’approfondimento. Le nuove forme di informazioni sono molto più brave a descrivere gli eventi per come succedono, il problema però è che a volte siamo così presi dall’avvenimento che diamo troppa enfasi a quello che è lo scorrere dei fatti rispetto al significato che hanno quei fatti nel quadro di insieme (esempio: alcuni giorni fa per uno sbaglio umano l’indice della borsa americana è caduto precipitosamente, i giornali ondine così presi dal seguire la caduta del Dow Jones non si sono resi conto che l’indice nel frattempo era risalito).

Secondo Sofi un anno di internet vale come 7 anni normali. Bisogna notare che in Internet le innovazioni non partono mai dal centro ma dalle estremità, dalle parti più marginali e questo è vero anche se analizziamo i primi quotidiani nati su internet, infatti il primo quotidiano italiano ad andare online è stato L’Unione Sarda che non è un giornale

importante a livello nazionale. Le testate più blasonate arrivano su internet abbastanza tardi e all’inizio la loro strategia è stata quella di tentare di riproporre il giornale cartaceo. Poi i giornali hanno iniziato ad investire, ma tardi e sempre con poche risorse, insomma sono sempre andati molto al risparmio. Il numero dei lavoratori online erano di meno rispetto alla redazione del giornale cartaceo ma con un lavoro maggiore. Infatti mentre il giornale cartaceo ha dei ritmi che consentono un po’ di riposo (per esempio la notte non c’è aggiornamento), in internet si lavora sempre, bisogna sempre aggiornare. Poche persone e l’aggiornamento continuo portano al fatto che sui siti internet si va molto di copia e incolla. Se la fonte è autorevole non ci sono problemi se invece non lo è rischi di fare dei grandi errori. Un’altro problema è che il modello di business usato oggi è un modello che premia le pagine più visitate, quindi quelle più viste vengono aggiornate meglio mentre invece quelle meno visitate sono curate di meno, proprio perché quelle più visitate portano maggior soldi con la pubblicità. Sulla parte alta dell’homepage dei giornali online ci sono di solito le informazioni più cliccate perché la maggior parte dei lettori non arriva in fondo alla pagina per pigrizia.

La Repubblica è l’unico quotidiano al giorno d’oggi che cerca di esse

re veramente nazionale, e per cercare di aumentare i suo appeal a livello nazionale ha aperto una redazione in ogni capoluogo. Hanno scelto anche Parma perché era l’unica città che non aveva un giornale del suo gruppo editoriale (L’Espresso). Aprire un giornale cartaceo era molto dispendioso allora hanno aperto una sezione online (parma.repubblica.it) con una redazione con dei costi molto minori rispetto ad una redazione che sviluppa un giornale cartaceo. Questo utilizzo di internet La Repubblica non lo fa solo a Parma (Parma è un progetto pilota perché è l’unico solo online) ma anche Torino, Bologna, etc. La cosa più importante è proprio quella che cercano di creare una comunità attorno a loro.

Perché i quotidiani online sono fatti cosi?

Perché sono poche le risorse che vengono investite. Questa mancanza di risorse è perché non si è ancora riusciti a trovare un modo per guadagnare veramente con i giornali online.

Se i giornali online facessero pagare per leggerli allora le entrate pubblicitarie crollerebbero perché ci saranno meno pagine visitate infatti quasi nessuno vuole pagare per leggere notizie che su internet trova gratis. La qualità non si può pagare con la pubblicità perché quest’ultima costa di meno su internet, quindi la qualità si trova a non avere le risorse con cui pagarsi.

L’unica possibilità è che i giornali in rete diventassero tutti a pagamento così che la gente deve pagare per forza per trovare informazione di qualità. Lo stanno cercando di fare in Inghilterra il Time e il Sun, ma non hanno ancora iniziato. La loro idea è quella di chiedere alle persone un microabbonamento, cioè chiedono a chi legge più di 2 articoli al giorno di pagare un prezzo irrisorio (2 sterline a settimana) per leggere anche gli altri.

I giornali online avendo delle redazioni piccole utilizzano molto le notizie provenienti dall’agenzie di stampa. Tutta l’informazione tende così ad omologarsi. Infatti le agenzie di stampa prese a dosi pesanti diventano però dei tremendi trend omogeneizzatori all’interno della stampa.